giovedì 24 marzo 2011

Nello stesso tempo

Papà mi ha parlato di alcune teorie che considerano il tempo ora come elemento fisso, ora relativo, ora come mezzo per percepire il mondo, ora come illusione. Mi ha detto infine che il mio tempo è un presente eterno.
Non sono d'accordo con questa sua idea, perché parlare di eternità significa prima pensare alla durata del tempo e poi - soltanto successivamente - escluderla. E anche cancellare assolutamente la fine del tempo vuol dire - nostro malgrado - far riferimento ad essa.
Il mio tempo invece non ha punti di riferimento, non ha durata, dunque non è eterno, né tanto meno finito. In una parola, io non mi faccio mai le domande "quanto" e "quando". Io vivo e basta. E quel che succede attorno a me, nel mio spazio e nel mio tempo non mi riguarda.
Stamattina, prima di andare al lavoro, papà ha chiuso le persiane. Ha chiuso fuori la prima luce primaverile che si affacciava nella stanza. Papà indugia ancora nell'inverno appena trascorso mentre i suoi occhi già vagano fra i giorni scuri che verranno di nuovo, fra nemmeno un anno. 
Fa così papà: salta le stagioni, ma lo fa a modo suo e non come faccio io, che non mi pongo domande. Lui vive in un tempo passato e con il pensiero eternamente proiettato al futuro: se per lui il mio è un presente eterno, per me il suo è un presente assente.

1 commento:

  1. Che vuoi paciocco: ogni genitore ha le sue stranezze eppure anche per il tuo papà è stato come è per te adesso; ecco perché a volte ti sembra di riuscire ad incastrarlo in questo continuo fluire che è la tua vita e sul suo volto vedi la felicità di chi non vorrebbe essere da nessun'altra parte e in nessun altro luogo.
    Baciotto, ciao.

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