venerdì 20 gennaio 2012

Poter vedere il sole solamente mentre si inabissa

Nessuno conosce il momento esatto della nascita, non credo che esso coincida con il giorno in cui ho aperto gli occhi e ho guardato un mondo illuminato dal neon. Il paesaggio infatti era sfocato, la nebbia sovrastava ogni cosa e dopo un po' ho preferito rimettermi a dormire. 
Tutto è cominciato prima ma, soltanto a distanza di poco più di un anno, inizio a rendermi conto di quanto la contraddizione sia il filo conduttore, l'elemento che accomuna i miei giorni: vediamo grazie a contrasti di luci e di ombre, sentiamo odori se il naso non ne è già assuefatto, avvertiamo il caldo se la pelle è fredda e i rumori se attorno c'è silenzio, il salato se la bocca è dolce. 
Il distacco dalla madre, il primo giorno, è il più doloroso e vitale. Ogni sorso d'aria fa proliferare la vita ma può nutrire anche cellule cattive. Allo stesso modo, il cibo è un elemento indispensabile alla sussistenza. Anche a quella dei batteri. Perfino i denti spuntano per consentirci di masticare pasti più completi e quindi per una salute migliore, ma sono un tormento quando bucano la gengiva.
Non voglio elencare la serie degli abbracci mancati con i genitori, non mi va di parlare della loro fretta di dileguarsi, di uscire di casa la mattina. Gesti compiuti a vuoto. Una voragine che resta sempre presente, come un uscio aperto, anche quando indugiano nei saluti. E' questa l'assenza che si materializza quotidianamente nell'ultimo saluto. 
Che contraddizione quella di poter guardare negli occhi il sole soltanto al tramonto, quando non è che una sfera arancione, addirittura buia se comparata alla luce che emanava poco prima. E che era talmente intensa da accecare. 
Poter vedere il sole solamente mentre si inabissa in uno specchio d'acqua come un animale morente. Uno specchio per ogni illusione, una stella probabilmente già spenta e chissà da quanto tempo.

martedì 17 gennaio 2012

Un passo piccolo per l'uomo ma grande per l'umanità

Un mese intero per fare due passi, appena un metro fra il frigorifero e il televisore. Mi sono alzato in piedi, gli occhi rivolti allo schermo, c'era il telecomando sul tavolino, ad altezza di mano, e ho deciso che non valeva la pena rimettermi a quattro zampe e poi rialzarmi. E così, senza pensarci poi tanto, ho deciso - scusate il gioco di parole - 'su due piedi' di camminare: due passi, il primo che prende il peso del corpo e che subito dopo lo cede all'altro, e quest'ultimo che ne trattiene la spinta, incerto mentre ondeggia avanti e indietro finché non torna in soccorso l'altro: un gioco di causa, effetto e aiuto; un mare inizialmente calmo, turbato da un sassolino gettato a caso e subito dopo ammansito dalla piccola diga di una mano.
Un passo che è piccolo per l'uomo me che è grande per l'umanità: un bambino che per fare un metro ci ha messo un mese, da quando per la prima volta si è tenuto in piedi da solo, e uomini che per tutta la loro storia hanno corso da qui a lì e che qualche volta si sono spinti fino alla luna. 
Relatività della grandezza e della fatica:  v = s/t  g = s/t x f