martedì 20 dicembre 2011

Sorrisi

Avrò un anno, fra pochi giorni. Ancora non ho imparato a camminare, ma a restare in piedi, questo sì, senza appoggiarmi e senza cadere: da quadrupede a bipede, l'evoluzione dell'uomo in nemmeno dodici mesi. 
Però, papà è sempre sorpreso dai miei sorrisi, più che da progressi come quelli appena detti. Li descrive, a seconda dei casi, come ironici, imbarazzati, a volte tristi e, ovviamente, divertiti. Insomma, tutta la gamma possibile degli stati d'animo che, quando ci si dimentica di piangere, si può esprimere con una forma apparente di gioia.
D'altronde, ridere e piangere non sono due manifestazioni opposte, tipo il nero e il bianco, e nemmeno le classiche due facce della stessa medaglia. No, riso e pianto sono soltanto due possibilità sulla stessa, unica faccia. E, fintanto che potremo continuare a ridere anche per il dolore, come a piangere anche per il piacere, nessuno, su questo, potrà darmi torto.
E così, a quasi un anno di età, sto in piedi e rido guardando le facce di chi ho intorno. A volte, chi vedo di fronte a me sono io stesso, quando mi osservo allo specchio. E so bene, anche se non è affatto scontato, che quel bambino che ho davanti e che fa i miei identici gesti non sono altri che io. 
Altre volte però, quando lo sguardo diventa troppo insistente, sento la distanza fra me e lui aumentare fino a rendermi incapace di riconoscere perfino il sorriso di quel volto tanto familiare.