Sabato e domenica sono stato tutto il giorno fuori, a passeggio con mamma e papà. Al mare, al parco, in una piazzetta del centro, a guardare la gente e i bambini giocare per strada e tirarsi i coriandoli di carnevale, a vedere la luce, il sole e a dormire all'aria aperta. Ho goduto dell'ossigeno fresco, della brezza marina, del rumore chiassoso delle persone attorno a me. Mi sono cullato nella giostra dei suoni e dei movimenti nuovi.
Poi, appena rientrato in casa, ieri sera ho iniziato a piangere un pianto disperato che si è prolungato per quasi due ore. Non avevo parole per dire ciò che sentissi e dove avessi male e il mio unico modo per esprimermi era quello di piangere, lasciando chi mi stava intorno libero di scatenarsi nelle più svariate diagnosi e interpretazioni.
E così i miei genitori hanno pensato prima alle coliche, poi però hanno visto che la mia pancia era sgonfia ma dura, infine hanno ipotizzato che qualche dentino stesse per spuntare prematuramente. Hanno anche immaginato che fosse la troppa aria presa o lo iodio la causa della mia sovreccitazione, ma alla fine ci ho pensato io a porre un freno alla loro fantasia: quando mi sono quietato, all'improvviso, e mi sono assopito di punto in bianco e ho dormito per più di cinque ore di seguito.
Da un momento all'altro in casa è entrata la calma e, mentre dormivo, non facevo altro che prepararmi a vivere un nuovo giorno. Un nuovo, prossimo, giorno di vita, senza attese particolari, senza sapere cosa accadrà e come starò. Come un fiore che sboccia all'alba e si gode i raggi del sole fino al tramonto.
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